Sono una studentessa vietnamita, vincitrice di una borsa di studio del Governo italiano per seguire il programma di Doppia Laurea all’Università per gli Stranieri di Perugia. È proprio un onore per me, un sogno che si e’ ormai realizzato.
Roma è il primo posto in Italia su cui ho messo i piedi. Dopo un lungo volo, siamo salite in pulman per partire verso Perugia. Mi sono sforzata di affrontare il sonno distendendo gli occhi, piena di gioia come una vela, dopo aver vagabondato sul mare tranquillo, si gonfia nell’accogliere una nuova brezza; ansiosa come una persona ghiotta posta davanti a sé dei cibi strani ma squisiti.
Il pulman è passato soltanto per la periferia di Roma, perciò non ho ancora avuto l’opportunità di ammirare dei monumenti magnifici come il Colosseo, la Fontana di Trevi o la Piazza San Pietro. Ho avuto comunque l’opportunita’ di percorrere strade “costruite con alta-tecnologia”, che curvavano e si incrociavano artisticamente. La cosa che mi ha impressionato di più è stata dei muri che sapevano dimostrarsi. Non ho potuto capire quello che c’era scritto, ma mi è bastato perché la loro lingua mi facesse percepire la loro bellezza singolare, mentre danzavano tortuose con i colori vivaci come se stessero per abbandonare la loro immobilità di due dimensioni e diventare vive. Le colline e le valle sulle strade seguenti mi hanno fatto giocare ad “uno, due, tre” con le due mani perché potessi orientarmi alla giusta direzione: il verde dei pascoli che si confondeva con il blu pacifico del cielo, segnato dalle pecore bianche e i testi rosa antichi a piramide o i boschetti radi di colore verde degli alberi le cui ombre dondolavano e s’intrecciavano.
Sono arrivata a Perugia. Una bella sorpresa ci ha accolto: tutta la città è costruita sulle colline. ”Su e giu’” sono le parole giuste per descrivere la superficie della città. Racconto spesso ai miei parenti in Vietnam “l’unico posto piatto qua è il pavimento”. Mi ricordo ancora la sensazione di stare insieme alle amiche sul marciapiedi la prima sera, con la città illuminata dai lampioni: le piccole automobili, un po’ strane per me, con gli autobus lunghi andavano su e giù, la bravura del conducente nel fare curve strette. Guidavano con passione, ma quando c’erano pedoni che volevano passare, i conducenti si sono fermati volentieri dando loro la precedenza.
Mi è venuto in mente qualcosa d’interessante: una volta, passegiando intorno al lago Hoan Kiem, vidi un gruppo dei turisti stranieri che tentavano di attraversare la strada. Dopo più di un minuto, ci riuscirono. Poi sorrisero soddisfatti. Non avevo capito che cosa stavano dicendo, ma dalla loro gioa, indovinai: “Vittoria!”. Hanoi è troppo animata, animata ogni singolo metro di strada. Detto questo, non voglio dire che i perugini siano calmi, però mi sembrano meno frettolosi. Oppure Perugia è veramente una città tranquilla? La domenica sono andata in centro senza vedere nessun negozio aperto, senza vedere tanta gente passare. In ogni caso, questa tranquilità non è fredda o monotona. Ne sono convinta.
Sto qui da meno di un mese e non mi sono ancora allontanata dalla mia casa più di due chilometri. Questo breve tempo e questa breve distanza bastano a lasciare dentro di me impressioni indimenticabili. Posso raccontare tante cose lungo il mezzo di chilometro di strada che percorro per andare all’università: bambini carini accompagnati a scuola materna dai genitori balbettavano qualcosa che gli adulti non potevano capire; i loro sguardi limpidi e innocenti mi facevano sentire piccola e affettuosa. Questo fatto mi ha fatto pensare che, anche se ogni nazione ha la propria lingua e cultura, tutti i bambini condividano un comune linguaggio, di cui non posso dare la definizione, pur ritrovandolo sempre guardando i loro visi.
Ogni volta che passavo davanti ai fiorai, volevo sempre fermarmi un attimo ad ammirare i fiori vivaci sul marciapiede di marmo grigio e freddo, sotto i muri alti, rugosi, immobili. La mia università si trova vicino all’Arco Etrusco, che si staglia gigantesco sull’ambiente circostante, eterno con il tempo, simbolo dell’intelletto e della forza degli uomini che l’hanno costruito. Superato il portone, ci si trova in un ambiente internazionale, vario come le bandiere sul tetto del palazzo. Ho incontrato amici venuti da diversi paesi. Non ci siamo parlati tanto, ma quando ci incontriamo, ci siamo salutati con un “ciao” e dei sorrisi cordiali. In classe, professori esperti migliorano e approfondiscono la nostra conoscenza della lingua italiana, creando un’atmosfera amichevole e dimostrando la bellezza e l’utilità della loro attività di diffusione della lingua italiana.
Facevo talvolta qualche passeggiata fuori dell’orario delle lezioni. Le foglie gialle, foglie rosse che dondolavano nel vento sulle strade attorno alle colline coloravano di più la poesia della città. Com’era bella la sensazione di immergersi nel freddino e nel sole mattino che come la gloria sprigionata da una fanciulla tenera, faceva palpitare il cuore del cavaliere più coraggioso! Ho portato con me un telefonino per tentare di scattare foto delle foglie secche mentre arrotolate si facevano trasportare dal vento lieve, come se volessero dirmi: “Tu ed io competiamo nel camminare!” E ho perso, o meglio, ho fatto finta di perdere con contentezza, davanti alla loro burla, alla loro indifferenza al cambiamento ora per ora della vita, alla loro sfrontatezza mentre sfidavano l’avversario.
Ero “adulta” con le foglie mattutine ma mi sentivo piccola con l’aspirazione di volare nel cielo blu nella luce solare dolce della sera che scendeva dall’alto, in cima a una collina. Un sentimento forte ma sereno dominava assolutamente la mia anima. Ecco la stessa aspirazione di vivere in un atmosfera pacifica, tranquilla ma ricca di vitalità. Tornando alla realtà, un’amica ed io abbiamo gridato di gioia vedendo un filo sottile di nuvole nel cielo, poi di sorpresa accorgendoci che era una riga di fumo che usciva da un aereoplano piccolo come un chicco di riso da lontano. Che meraviglia! Com’era celeste e limpido il cielo italiano!
Il buio calava leggermente. Le torri acute apparivano pian piano sul fondo vellutato. L’orizzonte era ancora rosa, ma un po’ più in su, i colori varianti curvavano come un arco: violetto, giallo di Napoli, celeste, azzurro, blu oltremarino scuro… e nero assoluto. Venere splendeva accanto al campanile. Si vedeva scintillare solo lei. Le luci d’argento dalle altre colline ci facevano fantasticare sul fatto che le stelle vagabondassero nel mondo mentre Venere superba dalla sua altezza contemplava il diletto degli esseri viventi…
Amo il Vietnam e amo l’Italia. Amerò la Francia, la Canada, l’Australia… dopo che ci sarò stata. Magari qualcuno mi potrebbe chiamare questo una “dongiovanni”, ma non si tratta affatto di “infedelta’”. Ogni paese ha l’identità della sua natura, della sua gente, che costituiscono l’”orgoglio del popolo”. Amo il Vietnam e l’Italia comunque con il sentimento speciale: il Vietnam è la patria in cui sono nata, sono cresciuta e mi sto formando, in cui i miei cari mi danno felicità; l’Italia è il territorio in cui ho vissuto nella mia immaginazione da tanto tempo – un gigantesco museo di tesori d’arte: l’architettura, la pittura, la musica, la natura… tutto ciò mi appassiona, non è una passione passeggera, ma costante.
Concludo questa scrittura di ottimo umore: proprio nel momento in cui vedo la neve per la prima volta! L’orologio indica le ventidue e ventidue, il ventidue Novembre: non dimenticherò mai queste cifre.
Le finestre degli edifici attorni sono aperte. Sento delle voci alte, belle canzoni e il flash delle macchine fotografiche. Un ragazzo dal secondo piano grida a tre ragazze sotto un unico ombrello: “Viva la neve!”. Per quanto mi riguarda, non grido, ma nella mente vedo a lettere luminose questo slogan: ”VIVA L’ITALIA”.
Perugia, 22 Novembre 2005